I predatori metropolitani
di SANDRO MEZZADRA
Il capitalismo
contro il diritto alla città è il titolo scelto
dalla casa editrice ombre corte per il piccolo libro di David Harvey da poco in
libreria (pp. 106, 10 euro). È un libro, conviene dirlo subito, tanto piccolo
quanto prezioso. Per chi non
conosce il lavoro di Harvey, uno dei protagonisti indiscussi dei dibattiti
marxisti internazionali, è un’ottima introduzione ai temi al centro della sua
ricerca fin dall’inizio degli anni Settanta, qui rivisitati sullo sfondo della
crisi contemporanea.
Per chi è familiare con l’opera dell’autore inglese, da
tempo trasferitosi negli Stati Uniti, la lettura dei tre capitoli che
compongono il volume riserva qualche sorpresa – o meglio dischiude prospettive
analitiche e politiche rimaste sotto traccia nel lavoro di Harvey degli ultimi
anni (da La guerra perpetua a Breve
storia del noeliberalismo, entrambi usciti in Italiano per Il
Saggiatore, fino a L’enigma del capitale, pubblicato lo
scorso anno da Feltrinelli).
Espropriazione
urbana
Geografo di formazione,
Harvey ha raccontato spesso come il momento decisivo nella sua radicalizzazione
politica sia stato l’arrivo a Baltimora, nel 1969: «non avevo mai visto un tale
livello di povertà», ha dichiarato ancora di recente in un’intervista con la
rivista francese «Vacarme». Erano gli anni in cui, negli Stati Uniti, il
dibattito pubblico era dominato dal tema della «crisi urbana», sullo sfondo
delle grandi rivolte nei ghetti afro-americani. Da quel momento, la questione
della città è rimasta al centro del lavoro di Harvey, all’interno di un più
generale tentativo di integrare la dimensione dello spazio all’interno di un
rinnovato paradigma marxista: ne è derivata la proposta, in particolare inLimits to Capital (1982), di un «materialismo
storico-geografico» che, sulla base di una originale rilettura del secondo
libro del Capitale, ha influenzato in modo
duraturo il lavoro di un paio di generazioni di «geografi radicali».
Come si può in
generale definire il ruolo dell’urbanizzazione all’interno del capitalismo? A giudizio
di Harvey, le città sorgono storicamente «attraverso la concentrazione
geografica e sociale di una eccedenza di prodotto» e sono essenziali al
capitalismo per «assorbire i prodotti eccedenti che produce in continuazione».
Sono dunque i luoghi per eccellenza di quella «distruzione creatrice» su cui si
fonda l’accumulazione del capitale. I quartieri proletari della Parigi del II
Impero rasi al suolo per realizzare i piani di riorganizzazione metropolitana
di Haussmann, studiati da Harvey in un libro del 2003, diventano così il
simbolo di una lunga storia di «espropriazione» e di «pratiche predatorie
urbane» che accompagna l’intero arco dello sviluppo capitalistico – fino a
oggi. Centrale, d’altro canto, risulta nella prospettiva di Harvey il nesso tra
rendita immobiliare e rendita finanziaria, definito dall’interno di una ripresa
del concetto marxiano di «capitale fittizio». Si legga la definizione qui
offerta della terra come «una forma immaginaria di capitale basata
sull’aspettativa di rendite future», si pensi al funzionamento dei mercati
finanziari e si capirà facilmente come le “affinità elettive” tra rendita
urbana e finanza abbiano solidi fondamenti.
Nella prospettiva
analitica di Marx, scrive Harvey, «il capitale fittizio non è il frutto del
cervello rovinato dalla cocaina di qualche operatore di Wall Street». Proprio
partendo dalla sua analisi del rapporto tra urbanizzazione e capitalismo,
vengono qui messi efficacemente in evidenza i limiti delle critiche che si
concentrano sul carattere meramente “speculativo” della finanza. Quel che
caratterizza il presente sono piuttosto per Harvey da una parte l’eccezionale
sviluppo e la complessità dei dispositivi finanziari, dall’altra la
«globalizzazione» tanto dei
mercati finanziari quanto dell’urbanizzazione. Questi sviluppi
hanno certo reso possibile tanto un’estensione spaziale dei circuiti
dell’accumulazione capitalistica che ruotano attorno al nesso tra rendita
metropolitana e rendita finanziaria quanto una intensificazione di questo
nesso: basti pensare, per fare un unico esempio, a come i mutui subprime abbiano consentito di includervi
poveri e minoranze. Al tempo stesso, tuttavia, Harvey dimostra come anche la
crisi abbia conosciuto un movimento di estensione e intensificazione, fino a
divenire negli ultimi anni il vero e proprio orizzonte dello stesso “sviluppo”
anche al di fuori dell’Occidente, nei Paesi cosiddetti emergenti.
«Sconcertanti», a suo giudizio, risultano dunque le affermazioni contenute in
un rapporto della Banca Mondiale del 2009, che all’indomani del fallimento di
Lehmann Brothers riproponeva l’usuale alchimia neoliberale di rule
of law, diritti di proprietà e «innovazioni finanziarie» («mercato
ipotecario secondario», «cartolarizzazione dei mutui», etc) come chiave di
volta per lo sviluppo urbano e regionale.
La politica dello
spazio
Si è detto della
Parigi del secondo Impero. È noto quanto considerazioni di ordine “militare”
abbiano influenzato i progetti di Haussmann. Scrive Walter Benjamin in una
pagina famosa che il suo vero obiettivo «era di garantire la città dalla guerra
civile. Haussmann voleva rendere impossibile per sempre l’erezione di barricate
a Parigi». E tuttavia, di lì a pochi anni, «la barricata risorge nella Comune,
più forte e più sicura che mai». È una vicenda ricorrente, anche in questo caso
fino a oggi. Le indicazioni offerte da Harvey in questo libro configurano la
possibilità di una vera e propria contro-storia del rapporto tra capitalismo e
questione urbana: lotte e rivolte non si limitano a rappresentare l’“effetto”
dello svolgersi di questo nesso; determinano piuttosto la crisi di specifici
“regimi” urbani, affermano nuovi modi di abitare e vivere la città, aprono
puntualmente la possibilità di una trasformazione – di tanto in tanto: di una
rivoluzione.
Il «diritto alla
città» che dà il titolo al libro di Harvey rinvia al lavoro di Henri Lefebvre,
un teorico marxista francese autore tra gli anni Sessanta e Settanta di
fondamentali studi sulla «politica dello spazio». Il confronto con Lefebvre è
uno dei fili rossi di questo libro, che costituisce anche un invito a
riscoprire un autore e un’opera sostanzialmente dimenticati in Italia ma al
centro di un vivace dibattito soprattutto nel mondo anglosassone. Harvey mostra
bene come Lefebvre avesse anticipato alcuni sviluppi contemporanei della
questione urbana, a partire dal salto di scala dell’urbanizzazione, dalla sua
esplosione a livello globale. E riprende molte sue suggestioni quando indica
nella città il terreno fondamentale su cui deve essere ripensata e organizzata
la lotta contro il capitalismo. Con più forza e con maggiore originalità
rispetto ad altri suoi lavori recenti, in particolare, Harvey mette qui al
centro della sua riflessione la «produzione della città», invitando a
riconsiderare lo stesso concetto di «proletariato» dal punto di vista della sua
composizione metropolitana, includendovi «tutti coloro che favoriscono il
riprodursi della vita quotidiana» nella città. Tra lavoratori edili e
«badanti», operatori culturali e ospedalieri (per menzionare qualche esempio
tratto dalla lunga lista presentata alla fine del libro), il problema
fondamentale che Harvey propone al dibattito e all’azione politica è «quello
della ricerca di unità all’interno di un’incredibile varietà di spazi sociali
frammentati» e attraversati da una strutturale «precarietà» del lavoro e della
vita.
I luoghi della
cooperazione
Assunta questa
centralità delle reti e delle figure soggettive della cooperazione
metropolitana, la contrapposizione proposta da Harvey in precedenti lavori tra
«accumulazione per espropriazione» (ad esempio di terre) e «accumulazione per
sfruttamento» (del lavoro) risulta felicemente problematizzata. Sul terreno
della «produzione della città» i confini tra le due forme tendono a sfumare,
proponendo l’urgenza di una nuova definizione generale dello sfruttamento,
all’altezza della violenza con cui opera oggi la rendita immobiliare e
finanziaria. Avanzare dal punto di vista teorico su questo terreno risulta
essenziale per riempire di contenuti la rivendicazione del «diritto alla
città», che come afferma Harvey è un «significante vuoto»: «rivendicare il
diritto alla città è, in realtà, rivendicare il diritto a qualcosa che non
esiste più (ammesso che sia mai esistito)». È rivendicare un «diritto mirato»,
che non può esistere cioè all’infuori dell’individuazione dei suoi soggetti e
dalla materiale produzione di una nuova «città», di un nuovo luogo comune di
cooperazione, uguaglianza e libertà: «il diritto alla città contro il
capitalismo», si potrebbe allora dire rovesciando il titolo di questo libro.
* Pubblicato su “il
manifesto”, 10 luglio 2012.
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