domenica 4 novembre 2012

Ponte sullo Stretto: il Governo ha cambiato idea. O no?


Il Governo ha cambiato idea. Nella versione originaria della legge di stabilità si sanciva la chiusura definitiva della questione Ponte sullo Stretto di Messina. E ora invece per altri due anni andranno avanti studi e progetti di fattibilità mantenendo in vita la Società del ponte. La ragione più o meno ufficiale: in caso di abbandono definitivo del progetto si sarebbe dovuta pagare una penale di 300 milioni di euro e quei soldi in cassa non ci sono. Quindi per evitare la penale si manderà avanti ancora per due anni la Società del ponte che spende mezzo milione di euro al mese. Al termine di questi due anni, si sostiene al Ministero dei trasporti “se non si trovasse una soluzione tecnico-finanziaria sostenibile, scatterà la revoca dell’efficacia di tutti i contratti in corso tra la concessionaria Stretto di Messina spa e il contraente generale con il pagamento delle sole spese effettuate con una maggiorazione del 10%”. Insomma sempre un bel po’ di soldi a perdere…
Sulla decisione del governo pubblichiamo due articoli. Il primo di Luigi Sturniolo dal sito No Ponte.
Il secondo di Alberto Ziparo da il manifesto del 2 novembre



Ponte sullo Stretto: il lungo addio


di Luigi Sturniolo
Di ragioni a sostegno della costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina non ce ne sono. Questo lo sanno tutti, anche i suoi sostenitori. Le aspettative di traffico non lo richiedono, non è redditizio dal punto di vista economico, le alternative sono nettamente più utili e meno costose. La prospettiva del Ponte è stata alimentata, in questi anni, solo dalla potenza mediatica degli apparati affaristici che ne ricavano vantaggi e dal co-interesse delle elite politiche ed economiche che governano il paese.
Da anni utilizziamo l’espressione “il ponte lo stanno già facendo” per dire che nei programmi di chi alimenta questo grande inganno la costruzione del manufatto d’attraversamento non è essenziale. Ciò che conta davvero è mantenere aperto il capitolo di spesa, avere a disposizione un collettore di risorse pubbliche. Sarà, poi, la contingenza economica a determinarne l’entità. Il Ponte, insomma, è un dispositivo che corrisponde ad un modello.
Lungi dall’essere un motore dello sviluppo del meridione, il Ponte è una tipica infrastruttura della crisi. Sta lì, fermo, ad aspettare che qualcuno ci butti dentro qualche centinaio di milioni di euro ogni tanto, allo stesso modo che per il Tav, per i termovalorizzatori, per il Mose, per autostrade come la Salerno-Reggio Calabria. Sono opere (le chiamano grandi opere) che provano a tenere in vita una forma impresa in crisi perenne, una forma impresa che intrattiene col territorio rapporti di carattere predatorio.
Dal Ponte sullo Stretto e da opere ad esso simili non c’è da aspettarsi lavoro, cantieri. Sono opere senza cantieri. E quando li aprono, i cantieri, contengono pochissimi lavoratori, per pochissimo tempo e con contratti precari. Basterebbe indagare, da questo punto di vista, su cosa siano stati gli unici cantieri che ha aperto il ponte, quelli delle trivellazioni, per capire quanto poco ritorno esso restituisca al territorio.
La scelta del governo di rimandare di due anni le decisioni su cosa fare del Ponte è, quindi, perfettamente in linea con quanto fatto dai governi precedenti, di centrodestra e di centrosinistra. La crisi del debito pubblico, che le politiche delle grandi opere, delle emergenze e dei grandi eventi hanno contribuito a far crescere, impedisce oggi di alimentare cospicuamente i canali di spesa per opere come l’infrastruttura d’attraversamento. Nell’attesa di sperimentare nuove formule per rendere bancabili le opere, magari con ardite piramidi finanziarie, è allora meglio sospendere i progetti più insostenibili. Tra questi è il Ponte sullo Stretto.
Chiudere la Stretto di Messina Spa, cancellare il contratto con Impregilo e non riconoscere alcuna penale e alcun debito. Queste sarebbero le scelte economicamente più vantaggiose per il paese e per il territorio, ma questo governo non le prenderà perché significherebbe contraddire gli interessi dei propri soci di maggioranza. Sta al movimento battersi per il raggiungimento di questi obbiettivi. Il neo-eletto Presidente Rosario Crocetta potrebbe, come primo suo atto, ritirare la partecipazione della Regione Siciliana alla Società concessionaria per la progettazione e costruzione del Ponte. In questo modo si risparmierebbero soldi e si potrebbe aprire una fase vertenziale col governo nazionale per investimenti realmente utili.


Il pozzo di san Patrizio che non finisce mai

di Alberto Ziparo
Il governo ha deciso: non chiude il progetto del Ponte sullo Stretto ma lo rinvia. La costosissima agonia del Ponte andrà avanti per almeno altri due anni, che serviranno «a verificare la fattibilità tecnica ed economico-finanziaria del progetto», prima della decisione definitiva. La società del Ponte (la Sdm), che spende circa mezzo milione di euro al mese solo per sopravvivere, potrà così continuare a sprecare risorse pubbliche nell'unica attività che porta avanti ormai da una quarantina d'anni: l'eterna progettazione.
Ma c'è di peggio: le imprese consorziate per la realizzazione del Ponte, in attesa di un'opera che non si farà mai, potranno realizzare infrastrutture «collaterali, funzionalmente autonome rispetto al manufatto principale ma comprese nel programma». Siamo all'assurdo.
Siamo all'assurdo: una opera non si realizza ma si possono costruire le attrezzature di contorno. Eppure Monti e Passera sembravano avviati sulla strada giusta, la chiusura definitiva di un telenovela costata già moltissimo agli italiani, in una progettazione infinita che in 40 anni non ha dimostrato neppure la fattibilità del manufatto (a dispetto dei CettoQualunquistici annunci di Berlusconi), evidenziandone invece i gravissimi impatti ambientali e paesaggistici, la sostanziale inutilità trasportistica, i sempre crescenti ed esorbitanti costi di realizzazione(8,6 miliardi di euro il conto sintetico allegato all'ultima versione del progetto).
Nei mesi scorsi l'esecutivo aveva preso atto dell'esclusione del Ponte dai programmi di infrastrutture strategiche comunitarie e aveva definanziato completamente il programma (operazione peraltro già avviata prima da Tremonti e Berlusconi), dichiarando più volte che «il ponte non è una priorità» e che la questione sarebbe stata «definita compiutamente». Nelle ultime settimane si era chiarita anche la questione delle penali, inesistenti in caso di bocciatura del progetto definitivo: per cui una chiusura in questa fase comportava solo i rimborsi spese. Tutto faceva pensare ad una fine della storia. Invece è arrivato un rinvio, che sostanzialmente «sbologna» la decisione al nuovo governo. E soprattutto permette a società e imprese di continuare a sprecare soldi pubblici proprio nel giorno in cui l'esecutivo assume, tra l'altro, l'odiosa decisione di negare i contributi ai malati di Slòa.
Protestano gli ambientalisti (che hanno sempre contestato anche tecnicamente il progetto, smascherandone infattibilità e insostenibilità) insieme a buona parte del centrosinistra e ai Noponte. Si chiede l'intervento di Napolitano, sempre schierato contro gli sprechi, oggi più che mai inaccettabili.
Appena insediati, Passera e il suo vice Ciaccia, che da banchieri avevano fatto da consulenti ad Impregilo, l'impresa capocordata del ponte, avevano rassicurato chi si preoccupava di possibili conflitti d'interesse: «Da rappresentanti del governo adesso cambia tutto! Parleranno i fatti», rispondevano. Appunto.

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