domenica 18 novembre 2012

No Tav d'Italia: il libro


La recensione di Piero Bevilacqua al testo di Anna Pizzo e Pierluigi Sullo pubblicata da il manifesto del 16 novembre

Un nuovo testo si aggiunge alla crescente letteratura sulle lotte in difesa del territorio italiano, che da anni comitati e popolazioni sostengono contro quelle forme affaristiche di investimento capitalistico note col nome di grandi opere. A cura di Anna Pizzo e Pierluigi Sullo è appena uscito No Tav d’Italia. Facce e ragioni dei cittadini che difendono il territorio (Intra Moenia, pp. 249, euro 15,90). I volti a cui allude il titolo si riferisce sono quelli allegri e talora colorati dei protagonisti che popolano le tante foto inserite nel libro, oltre a quelli tetri dei poliziotti in assetto antisommossa, ma che ritraggono anche i boschi, i torrenti, i borghi dove si sono svolte innumerevoli marce e proteste degli ultimi anni. Non è l’unica novità di questa pubblicazione. Essa infatti non si limita a rivisitare le ragioni e le caratteristiche dei movimenti, ormai mondialmente noti della Val Di Susa, ma informa su un concerto di lotte in corso sul territorio nazionale, ispirate dalle medesime finalità, attraverso le voci dei protagonisti.

Così veniamo informati dei movimenti contro «No Tem», la nuova Tangenziale est di Milano, che aggiungerebbe cemento alla più cementificata regione d’Italia (R. Cuda),;i «Cat», Comitati ambiente e territorio del Brenta (M. Donadel ) che in quell ‘area già devastata del Veneto lottano contro il Piano Territoriale Regionale di. Coordinamento; del «Comitato No grandi navi» a Venezia (T. Cacciari); delle centinaia di comitati attivi nelle Marche (O. Gobbi); del comitato fiorentino contro l’assurdo sottopasso di Firenze (tre contributi di M. De Zordo, T. Cardosi e R. Budini Gattai ) e infine delle lotte non contro grandi opere, ma in difesa da altre minacce. Come la mobilitazione del Comitato contro la discarica del Castagnaro a Pozzuoli (A. Policastro), o per la difesa di un patrimonio pubblico – gli studi e gli spazi di Cinecittà a Roma (S. Medici), contro il tentativo di una privatizzazione che priverebbe la città di un luogo-simbolo della sua storia culturale e artistica.
Non è certo possibile dar conto analiticamente di cosi tanti contributi, che danno nell’insieme l’immagine di una Italia aggredita in ogni suo angolo da una armata di predoni territoriali, avanguardie di classi dirigenti rozze e culturalmente arcaiche, rimaste ancorate a una visione di progresso economico che fa della cementificazione la sua arma e il suo vessillo. Val la pena ricordare, tuttavia, che anche temi ampiamente frequentati come quello del Tav in Val di Susa – soprattutto grazie agli studi di Ivan Cicconi – vengono riconsiderati alla luce delle vicende politiche recenti. Claudio Giorno e Chiara Sasso, (Fermo immagine. Immagini di una resistenza che dura da vent’anni) ricordano non solo la crescita della partecipazione popolare, ma anche l’incredibile apparato mediatico di criminalizzazione del movimento dispiegatosi negli ultimi anni. «Fino al 2005 – ricordano gli autori – tutto è stato coperto da una censura pesante, la Valle di Susa e il movimento No Tav semplicemente non esistevano». Solo dopo 14 anni «di attività e di resistenza i media e la politica (2005) scoprono questa opposizione e il suo radicamento… Si cena con la forchetta.. sospesa a mezz’aria, si ascolta il tg con la paura di essere citati. Tutte le occasioni sono buone perché si parli a sproposito del movimento No Tav».
Non c’è episodio di violenza nel Paese, dall’incendio alla Stazione Tiburtina, a Roma, all’agguato al manager dell’Ansaldo Adinolfi, che non costituisca occasione per gettare ombre di sospetto sul popolo della Val di Susa. Per soprammercato, il ministro dell’interno Anna Maria Cancellieri dà un sigillo statuale al clima di paura e di sospetto affermando che « La Tav è la madre di tutte le nostre preoccupazioni».
L’articolo di Luca Mercalli, Il sovrasfruttamento dell’unico pianeta che abbiamo, inserisce il tema Tav entro una visione più ampia delle questioni planetarie oggi sul tappeto (inquinamento globale, riscaldamento climatico, deperimento delle risorse) per mostrare la radicale arretratezza culturale, economica e ambientale che ispira quella Grande Opera. Essa è ancora dentro una ratio economica sviluppista, da anni 60-70, che non considera gli effetti di lungo periodo di trasformazioni territoriali di così vasta portata, che progetta consumi enormi di materiali, energie e risorse, mentre occorrerebbe frenare la corsa, che ogni giorno di più si trasforma in distruzione, in superamento insensato dei limiti. E soprattutto ubbidisce a una logica di immobilizzazione di ricchezza e di gigantismo sempre più estranea ai bisogni di flessibilità degli investimenti, di economia dolce, di risposta ai bisogni ravvicinati e diversificati delle comunità e dei territori. «In sostanza – scrive Mercalli – siamo a un bivio fondamentale nella storia dell’umanità; se c’è una cosa che non è interessante fare, è addentrarci in questo gigantismo infrastrutturale che, tra l’altro, ha un difetto di fondo: è estremamente rigido. Nel senso che quel progetto serve ad una sola cosa e, se fallisce, non possiamo usarlo per fare qualcos’altro, neanche mettere il cibo in fresco, perché fa troppo caldo nel tunnel».
Mi sembra giusto ricordare che la sezione del libro dedicata alla Val di Susa, introdotta da Ezio Bertok, contiene anche una Lettura critica del documento governativo in 14 risposte, frutto del contributo di vari esperti indipendenti, che smontano, punto per punto, le tesi del governo. Questa Lettura ha «comportato alcune centinaia di ore di lavoro prestate a titolo personale e non retribuito». La passione per la giustizia, la solidarietà con le popolazioni, l’amore per le terre e i luoghi è ancora capace di suscitare passioni generose, che fanno impallidire la sordida ricerca del profitto degli assedianti. Chi conserva ancora un lume di onestà in fondo alla propria coscienza si legga queste «risposte» per farsi un’idea di che cosa è il progetto Tav.

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