giovedì 11 ottobre 2012

Comunità di villaggio e usi civici


Il testo è tratto da un articolo di Vandana Shiva e liberamente adattato alla situazione italiana da Mario Cecchi 

L’autogoverno delle comunità locali e di villaggio è il fondamento di una democrazia della terra. Sull’autogoverno delle comunità si fonda l’autodeterminazione indigena, l’agricoltura sostenibile, il pluralismo democratico. Nella gerarchia delle istituzioni democratiche, l’assemblea del villaggio è al di sopra di tutto, anche del parlamento. L’autodeterminazione delle comunità significa esercitare il controllo e la gestione delle risorse presenti sul proprio territorio: materiali, economiche, intellettuali e genetiche. Lo Stato dovrebbe avere la funzione di proteggerle. La democrazia fondata sulle comunità locali riconosce spontaneamente la biodiversità come risorsa sovrana e chiede ai governi di riconoscere, proteggere e promuovere i diritti di proprietà e invenzione indigena nella formazione e nell’uso della biodiversità. La biodiversità sopravvive solo attraverso la protezione delle comunità che se ne servono.
(pubblicato dal sito www.accessoallaterra.blogspot.it)

Il bisogno di rivitalizzazione e riconoscimento legale delle comunità è uno strumento necessario per proteggere le persone. Le leggi indotte invece dal capitalismo finanziario hanno ridotto i diritti consuetudinari con i quali era protetta la sussistenza delle persone. La personalità giuridica delle comunità è necessaria per dare concretezza al decentramento democratico basato sul governo del consiglio del villaggio che a sua volta si deve basare sull’assemblea delle comunità come assise principale per la formazione delle decisioni consensuali. Questa identità legale dovrebbe tener conto che i villaggi, i quartieri in quanto comunità, sono dinamici ed hanno una grande variabilità. Le comunità sono tali perché lavorano per il bene comune in maniera coesa e coerente, con pratiche sostenibili e regole condivise, in tutti gli aspetti specifici della vita sociale: gestione del territorio e delle relazioni, produzione di beni, cultura, energia, ecc. Le comunanze hanno subito e stanno subendo ancora un processo di erosione mentre i loro legittimi proprietari, le comunità, stanno subendo una perdita di potere e identità collettive oltre ad un ulteriore impoverimento e dipendenza. Poiché le comunità hanno conservato e migliorato il loro patrimonio usando con equità e parsimonia le risorse, sono il miglior sistema sociale che assolve la funzione di proteggerle ed amministrarle (1).
Quindi l’identità comunitaria e i diritti collegati devono essere riaffermati e riconosciuti affinché questo processo di usurpazione finisca. Il concetto dei diritti esercitati collettivamente è estraneo alla giurisprudenza moderna che considera l’impresa come soggetto individuale molto simile a quello dell’individuo nella società. Assumere l’identità di impresa presuppone sposare determinati valori legati al paradigma capitalista dello sviluppo ovvero i valori della massimizzazione del profitto, della competitività del mercato, dell’ottimizzazione dell’efficienza produttiva in funzione dell’interesse economico privato e della rendita. Le caratteristiche dell’impresa come la specializzazione dei ruoli, l’assenza di consultazioni allargate, la delega disuguale di potere e di controllo, la gestione gerarchica, l’iniqua distribuzione delle risorse oltre all’inquinamento e il depauperamento provocato dai processi produttivi che non possono tener conto delle esigenze della Terra e della biosfera perché asserviti alle logiche economiche, rappresenta l’antitesi della comunità. Ritornare a far valere la legislazione per il recupero degli usi civici e delle comunità locali è la sola via di uscita per il recupero e la conservazione sociale e ambientale del territorio.
Quando le comunità sono costrette ad adeguarsi alle strutture burocratiche dell’impresa, volute dalle leggi dello Stato, entra in loro il germe dell’ingiustizia, del potere e della corruzione come conseguenza della struttura gerarchica che viene imposta. I diritti comunitari invece sono riconosciuti come inalienabili e imperscrittibili, quindi non riconducibili alla forma dell’impresa e della proprietà capitalistica. Le comunità di villaggio hanno personalità giuridica e possono andare in giudizio a difendere ciò che possiedono come comunità. La collettività stessa è la persona. Questo diritto già sancito nel codice degli usi civici (2) è stato volutamente ignorato ma deve essere ripristinato e rispettato perché è fondato sul diritto naturale che è superiore alle leggi dello Stato stesso. Serve a garantire un ordine sociale inseparabile dalla cultura e dalle consuetudini del nostro popolo che hanno nell’etica ecologica e nelle regole condivise la coscienza e la responsabilità di preservare la terra per le generazioni future.

Note
(1) Come ha dimostrato Elmor Ostrom premio Nobel per l’economia nel 2010.
(2) Il codice degli usi civici è stato riordinato dal ministro Serpieri nel 1927 ed è tuttora in vigore ma laddove non c’è più il popolo residente a difendere i propri diritti in molti casi il territorio è stato usurpato da speculazioni private o pubbliche. Riprendere possesso del proprio territorio da parte della comunità che vuole tornare ad usarlo è tuttora possibile ma varie cause intentate dai commissari “ad acta” preposti per tutelare gli usi civici, si scontrano (e si arenano) di fronte ad una marea di procedure e cavilli che protraggono all’infinito le cause.

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