C’è un dato che emerge chiaro e
lampante scorrendo il nuovo rapporto dell’associazione Re: Common (www.recommon.org/terra) intitolato
“Gli Arraffa Terre”: l’Italia è seconda solo al Regno Unito fra gli stati
europei più attivi nella discutibile pratica del land grab. L’accaparramento di
terreni agricoli negli ultimi anni ha vissuto un vero e proprio boom, anche a
causa della risi che attanaglia il pianeta. Gli appezzamenti di terra, infatti,
sono visti sempre più spesso come un bene rifugio per gli investitori, che
però, come nel caso degli italiani, hanno scoperto anche un affare lucroso:
quello degli agro-combustibili.
In totale sono una ventina le
compagnie del nostro paese attive in maniera decisa in questo business. Nomi
più o meno conosciuti, da Eni a Maccaferri, fino ai tre big del credito
(Unicredit, Intesa e Monte dei Paschi di Siena). Se in Patagonia si è mossa in
grande stile la Benetton, non mancano le imprese di dimensioni medie, molto
presenti soprattutto in Africa, n particolare in Mozambico, Etiopia e Senegal.
Le compagnie italiane
acquisiscono a poco prezzo e per periodi molto lunghi decine di migliaia di
ettari in paesi afflitti da siccità e fame, come l’Etiopia, per impiantare
colture intensive, con lo scopo di produrre cibo per l’esportazione o per
coltivare olio di palma o jatropha poi impiegati, come accennato prima, per
generare agro combustibili.
Si pensi al caso della Fri-el
Green, che proprio in Etiopia ha messo le mani su 30mila ettari, pagati la
miseria di 2,5 euro l’uno per un periodo di 70 anni, la cui produzione di olio
di palma potrebbe essere destinata ad alimentare la controversa centrale
termoelettrica di Acerra. O ancora alle numerose imprese che con l’aiuto delle
autorità governative e consolari italiane, sono sempre più attive in Mozambico.
Nonostante le rassicurazioni
delle compagnie, le stesse colture hanno un impatto molto negativo sulle
comunità locali. Le piantagioni di jatropha, per esempio, entrano spesso in
competizione con la produzione alimentare, sia ovviamente nel caso in cui
vengano messe a coltura su terreni molto fertili, sia quando sono coltivate su
terre cosiddette marginali, ma in realtà essenziali per la sussistenza di
piccoli agricoltori, pastori, cacciatori, raccoglitori. Questo compromette in
maniera permanente tali mezzi di sussistenza, distrugge preziosi ecosistemi
naturali e danneggia irreparabilmente la biodiversità locale.
Oltre all’accaparramento di terre
all’estero, favorito dalla zelante disponibilità degli esecutivi locali, negli
ultimi mesi si è aperto anche un “fronte interno” caratterizzato
dall’alienazione dei terreni agricoli del demanio pubblico prevista
dall’articolo 66 della Legge di stabilità del 2012. Un provvedimento molto
discusso e avversato, tanto che Genuino Clandestino (http://genuinoclandestino.noblogs.org)
ha subito lanciato una campagna nazionale per chiedere una modifica del dettato
normativo.
La settimana scorsa sono state
consegnate al Presidente del consiglio Mario Monti Migliaia di cartoline
sottoscritte da aprile a metà giugno proprio per dire no al tentativo di
svendita delle terre pubbliche da parte del governo.
Secondo Genuino Clandestino
continuando su questa linea si fa solo il gioco degli speculatori, privando le
comunità della prerogativa di decidere come gestire in maniera responsabile ed
efficace ampie fette del territorio del nostro Paese. Insomma, in Italia o
all’estero, la rincorsa agli ettari di terra da parte dei soggetti privati
sembra solo all’inizio.
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